Archivio per gennaio, 2013

ImmagineDa circa quindici giorni sono ricoverato in ospedale per tentare una riabilitazione da alcol. Ho deciso che valeva la pena tenere un diario e renderlo pubblico per due ragioni: una per non dimenticare e due perchè resto convinto che ” Le storie non scritte son destinate a non essere lette”. Dunque ho aperto una pagina su Facebook ” Diario Di Un  Alcolista Appassionato ” in cui appuntare riflessioni.

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L’ ORCO CHE MANGIAVA BIG BABOL ROSA

Reparto R.A.F: riabilitazione alcol farmaci.
Struttura sobria, pulita con amplio parco e acquario con pesci rossi e tartarughe, luogo ideale per gli inciuci che nascono in reparto fra i degenti, al tempo stesso luogo super presidiato dagli infermieri e dai Frati che lavorando qui da anni e che tutto vorrebbero tranne che da un momento all’altro spuntasse qualche uccello o capezzolo sfuggito dal controllo della RAF.
Gli operatori sono tutti estremamente gentili, altro discorso per le donne delle pulizie che lavorano per qualche cooperativa esterna, che si limitano ad ignorare tutti, essere gentili con un lavoro di merda simile pare non glie lo faccia digerire meglio.
Il reparto è una struttura a croce, esattamente come il crocefisso, lungo il corridoio principale ci sono le stanze, la sala degli infermieri, quella del dirigente e dei vari specialisti, tutte femmine da mordere con lo sguardo, altre a cui strapperei volentieri la figa a morsi, ragione per la quale credo abbiano messo nella flebo medicamenti che mi hanno falciato le erezioni e con questo un’elevata parte della mia attività. In questi anni ho smesso di giocare a pallavolo, correre , suonate la chitarra, ridurre il mio impegno nel volontariato e mai avrei rinunciato alla sessoautonomia, vivrò di ricordi per un mese e poi ricomincio con gli allenamenti: toglietemi tutto ma non il mio giocattolo.
Stanza n° 4 letto n° 24 tre ospiti su quattro, si vede che non c’è poi così tanta gente che beve o che chiede aiuto.
L’infermiera mi indica il letto, mi consegna la chiave dell’armadietto con la raccomandazione di non lasciarlo aperto: “Non succede mai nulla, ma sa com’è “? Rassicurante.
I due ospiti son distesi sul letto, uno con le cuffie e l ‘altro anche, sembra che attendano in prete prima dell’esecuzione, l’accoglienza non è certo calorosa, daltronde molti di quelli che si ricoverano non vedono l’ora di uscire, per altri è la prima volta e non sempre lo hanno scelto volontariamente: ce li manda la famiglia o il datore di lavoro, il sert o sono reduci da qualche incidente stradale ed in qualche modo devono dare segni di redenzione. Sono pochi quelli che vengono qui volontariamente chiedendo aiuto al medico di famiglia o a qualche gruppo alcologico.
Il primo è un ragazzo rumeno di trent’anni circa, asciutto, di poche parole, due giorni dopo parlando con la moglie ho saputo che fa il muratore, l’altro invece è un signore di sessant’anni di circa ottantacinque chili, vestito da contadino la domenica, spettinato e poco incline a farsi la doccia, me ha confessato oggi la moglie dopo averlo spedito in bagno a lavarsi. Entrando in stanza sentivo una puzza di marcio ed ho sempre pensato fossi io, mentre scrivo son qui davanti a me con lei che gli elenca i benefici di un detergente piuttosto che l’altro ” Ti ho portato anche il detersivo per i panni” Mi guarda sconsolata ” Vorrà dire che me lo riporto a casa”
Inizialmente mi inquietava un poco poi quasi subito avevo visto una foto in una bella cornice bianca sul comodino, da lontano ovviamente non vedevo nulla e poi quando mi avvicino immaginando di vedervi ritratta la moglie, invece vedo la foto di un cane, un bastardino dal pelo marroncino chiaro accucciato in terra con lo sguardo adorante, verso verso il suo padrone.
Una radiolina tutta colorata di quelle che si regalano ai bambini tipo la radio della fidanzata di Topolino e li mi si stringe il cuore. Mastica tutto il tempo Big Babol rosa.
Comincia a parlare con un filo di commozione, gli chiedo come sta, non mi aspetto grandi discorsi “Fra due giorni vado via, voglio tornare dal mio cane e dalla mia casa” e con le lacrime all’aglio questo mezzo orco arrivato dalla campagna, con agli occhi lucidi dice “I primi quattro giorni qui ho pianto, volevo solo andare via da qui, e poi di sicuro quel povero cane me lo hanno fatto ingrassare, ma adesso che torno lo faccio correre io”
La stanza di un ospedale è come una piccola borgata, tutti si vedono, si parlano si conoscono, una sorta di piccolo mondo nel mondo con la caratteristica che in questa borgata è possibile abitaci solo per ventinove giorni, il tempo minimo necessario per la disintossicazione dall’alcool.
Qui siamo arrivati tutti in tempi differenti, io sono stato l’ultimo ad arrivare e come per tutte le relazioni ci sono voluti alcuni giorni prima di parlarsi, ci si limitava ad un educato saluto e poi ognuno si rintanava nella propria casa letto ad ascoltare la radio o a guardare il soffitto.
Ieri finalmente Orlando ( L’orco venuto dalla campagna ) mi si avvicina mentre cazzeggiavo al computer. Orlando con le mani dietro la schiena, passettino dopo passettino si avvicina al tavolo al mio fianco e mi chiede “Cosa ci vai sempre su quel baracchino li, a che cosa serve”?
Difficile spiegare ad un anziano cosa sia un computer e quali cose si possano fare usando solo le parole.
“ Venga Orlando si avvicini. Di che paese è lei”
“ Mondovì, son sempre stato li, ho fatto le scuole , ho lavorato, mi sono sposato. Tutto a Mondovì”
“ Le piacerebbe vedere la sua casa adesso, il suo paese, la piazza del municipio “?
“ Si ma fini a domani che torno a casa come si fa”
Dentro di me so che gli sto preparando una magia che non avrebbe mai potuto immaginare e apro Google Map, digito Mondovi e appare la cartina, stringo l’immagine e gli dico “La riconosce?”
“ Ma si mi sembra Mondovì, no no è Mondovì. O basta là, esclama in piemontese” E finalmente arriva il primo sorriso di questi giorni
Ma lui non sa che siamo solo all’inizio della magia che gli sto preparando e clicco sulla funzione satellite in cui è possibile vedere il paesaggio fotografato dall’alto.
“Ecco Orlano questa è la foto del tuo paese vista dal satellite, vediamo se riusciamo a trovare la tua casa”
Lui guarda, riguarda, non è abituato a vedere il suo paese dall’alto, ma dopo pochi secondi comincia a riconoscere una grande fabbricato. “ Ecco quella è la fabbrica dove ho lavorato per quindici anni, Un travai d’merda ( Un lavoro di merda )
Ecco io abito li vicino alla fabbrica, quella è la casa di mio cugino che fa il muratore, la casa la costruita tutta lui con l’aiuto della mogli, ci ha messo dieci anni perché in settimana lavorava e il sabato e la domenica era sempre li a farsi la casa.
Questo grosso qui è il lavatoio e quella vicino è la mia casa”
Stavolta sorride di gusto, scuote la testa e dondola goduto.
La magia però non è ancora finita, porto il cursore sull’omino arancione e lo trascino sotto casa sua e un attimo dopo appare la sua casa sul mio monitor, adesso è bello che bollito, si agita un po stupefatto, una cosa così non l’aveva mai vista e io sono felice di essere stato il primo a fargliela vedere. Adesso siamo finalmente amici.
E poi lo strappo quando stamattina lo vedo riempire le borse delle sue cose, è chiaro che lo stanno dimettendo e io vengo a saperlo solo adesso e in questo modo che sento brutale, poco più di un’ora e l’atto finale con gli infermieri che disinfettano comodino, letto e il cambio di lenzuola che cancella ogni traccia del mio amico Orco.

mariagrazia

Pochi giorni fa ho saputo che ci ha lasciato la nostra amica e socia Maria Grazia Ceriani. È successo alcuni giorni prima di Natale. Certo: ce lo aspettavamo da un giorno all’altro  visto il terribile male contro il quale stava combattendo, però di certo non si è mai pronti per una perdita del genere. Non lo è mai nessuno: le persone che le vogliono bene, e anche per noi suoi colleghi di Coop La Strada il colpo è durissimo e la perdita enorme. Scrivo al plurale perché qualcuno mi ha chiesto di scrivere qualcosa per Maria Grazia. Non so perché? Forse perché da Piazza Grande al Blog Asfalto mi sono dovuto occupare di dare spazio e voce alla memoria di tanti amici che ci hanno lasciato. Arrivai alla redazione di Piazza Grande mentre si chiudeva il numero che salutava il vecchio “Spuma”, poi, negli anni, fu la volta di Marione, Massimo, Delvis, Francesco, Fiorella, Andrej, Angelò.. e chissà quanti ne ho dimenticati. Compagni che hanno interrotto la loro risalita sempre improvvisamente, sempre troppo presto. Già, perché è un dato di fatto che chi ha vissuto una vita ai bordi raramente arriva a godere di una lunga vecchiaia. Non c’è forse una ricerca sociologica a riguardo, ma da quello che ho visto ci sarebbe da fare un’azione collettiva verso l’Inps: cioè invece della pensione sarebbe il caso di chiedere una specie di liquidazione per godersi decentemente gli ultimi anni di vita, ben al di sotto dell’età media a cui arrivano gli “altri”.

Mentre scrivo mi chiedo se sono la persona giusta per parlare di Maria Grazia. Abbiamo lavorato insieme e ci siamo trovati dalla stessa parte in discorsi e progetti per promuovere la vita delle persone ai margini che lei conosceva bene, questo sì. Ci volevamo bene e ci stimavamo a vicenda, ma se penso ai frammenti di storia che conosco così poco capisco che Maria Grazia ha vissuto molte vite ed ha attraversato diversi mondi: dal sogno freak anni’60-’70, alle comunità terapeutiche e di vita. Poi Maria Grazia è stata madre, amante, donna libera e curiosa; ha sperimentato ed ha conosciuto i mille volti degli esseri umani; ha vissuto l’ultima parte della sua vita accanto agli ultimi, anche portando sé stessa come esempio di “operatrice pari”, conoscendo per nome ogni persona ed ascoltando le migliaia di storie passate nei dormitori e nelle mense della città dove lavorava. Maria Grazia che è passata attraverso gli abbandoni, i traslochi, i pregiudizi, le sostanze, il denaro a rate, la vita prepotente, le urla e le tenebre, lampi e poi ancora il buio… Maria Grazia: davvero “agnello tra i lupi”.
Poi c’è stato l’impegno civile e politico per i diritti, oltre che degli “ultimi” anche dei “diversi”, fino ad arrivare, pochi mesi fa, al gesto che forse di più la rappresenta: in quanto unisce efficacia e tenerezza e cioè il matrimonio, celebrato in ospedale da Sergio Lo Giudice, con la sua dolcissima compagna. Ancora una volta portando sé stessa, non come esempio da seguire, ma come testimonianza sincera e garbata di donna capace di vivere la vita che più le assomiglia.
Se n’è andata avvolta dalla sua riservatezza, tenendo vicine solo le persone intime e quindi regalando a tutti noi la possibilità di passare un Natale sereno e l’opportunità di non sentirci inadeguati e impotenti davanti all’inevitabile. Già perché io so che Maria Grazia, oltre a fare tante cose, aveva un pensiero per ognuno di noi e per le tante persone che ha conosciuto. Un pensiero che non era mai giudizio. Pur sapendo dividere il bene dal male lei sapeva che sono due cose che vivono insieme e conosceva la fatica che ognuno fa a condurre un’esistenza, qualunque essa sia. Aveva un grande rispetto dei difetti e delle debolezze degli altri e chi ha condiviso anche solo un turno di lavoro con lei sa quanto questo sia vero.
Penso che una delle cose che mi mancherà di più di Maria Grazia sarà la sua voce. Una voce che sapeva essere calda ed elegante, come anche simpatica e a tratti buffa, come la voce di certi personaggi dei cartoni animati. Insomma: una di quelle voci che piacciono un sacco ai bambini. In una parola: una voce “Accogliente”. Come era lei.

La scomparsa di Maria Grazia è una perdita dal valore incalcolabile dunque anche per l’intera comunità, per il Comune di Bologna e per tutto il sistema dei Servizi alla Persona. Perché? Perché in una fase di collasso dei Servizi per i più deboli, dove sostanzialmente il lavoro di noi operatori è quello di fare da “filtro” rispetto a opportunità e risorse che di fatto non ci sono, il lavoro di accoglienza, di vicinanza, di ascolto di un’operatrice come Maria Grazia diventa preziosissimo. Quando sono nate Piazza Grande e Coop La Strada si pensava che dando un’opportunità di riscatto alle persone ai margini si potesse innescare un meccanismo che mettesse insieme fiducia, salute, lavoro e sostegno, andando così oltre al concetto di assistenza. Tutto questo oggi è considerato un costo insostenibile e si è tornati ad un assistenzialismo, ma con meno risorse di una volta. Il lavoro dell’operatore sociale oggi è quello di stare lì a dire “No” e contenere la frustrazione di utenti sempre più dimenticati. Ecco perché, in questo contesto, la parola e lo sguardo accogliente di una come Maria Grazia sono un enorme valore aggiunto ad un costo bassissimo. Anche perché per fare un buon Operatore pari non basta un buon corso e non esiste un corso universitario. “La nostra università è la strada”: diceva sempre Maria Grazia. E’ una formazione fatta di andata e ritorno dai confini della vita; è una storia di sconfitte e di risalite; di emarginazione e di ricostruzione dalle fondamenta della propria vita. Ci vogliono almeno due vite per fare un operatore pari.
Maria Grazia metteva in campo ogni giorno, nel suo lavoro, un patrimonio di formazione, fiducia, “empowerment”, esperienza e capacità di ascolto che era un vero tesoro. Un patrimonio acquisito con sudore e fatica e mai adeguatamente valorizzato. In questi tempi di crisi e di collasso del Terzo settore gli “operatori pari” sono i lavoratori del sociale che riescono a dare tanto spendendo molto poco. Maria Grazia era una delle migliori in questo.
Sgomenti davanti a una perdita così grande non possiamo che fare quello che è nelle nostre forze per non disperdere il patrimonio e l’esperienza che ci hanno regalato i compagni di strada come Maria Grazia. Hanno dato forma al modello di accoglienza costruito dal basso. Un’opportunità che può avere ancora molto da offrire in questo inizio di secolo, che si presenta così avaro di prospettive e risorse.
Grazie Maria Grazia per aver scelto di costruire insieme questa nostra casa.
Non “amen”, ma “Hallelujah”

Massimiliano

campi del paleotto per sempre from Asfalto on Vimeo.

Uno di quei giorni magici ed incantati, che ripropongo qui per la prima volta in questo video che immortala il cuore del blog Asfalto in uno dei momenti più alti: i tre fondatori e il grande amico Massimo Macchiavelli con la sua splendida Luce.
Sembrava che tutto dovesse durare per sempre e la scalata alla ribalta fosse solo all’inizio. Invece nei mesi che seguirono a queste immagini Andrej ci ha abbandonato per sempre, Stefano è diventato uno scrittore, il Laboratorio del Centro diurno dove è nato Asfalto è stato chiuso ed io sono rimasto da solo a litigarmi la pagnotta con altri border in lavori che hanno ormai più poco a che fare con il “sociale”. Ma quelle ore trascorse insieme, per una grigliata improvvisata al Parco del Paleotto a sud di Bologna, rimangono lì in eterno.

Certo che avere a che fare con voi “barboni” durante le feste è un bel problema. Durante l’anno è tutto un “Oh dai poi mi chiami eh!”, “Oh mi raccomando. Fatti sentire!”, “E telefona ogni tanto!”. Poi quando arriva il 23 dicembre si spengono i telefoni e ci si fa negare da segreterie telefoniche che mai si ascolteranno. E’ caratteristica di chi vive ai margini quella di diventare dei gatti arruffati nei giorni di festa. Mi ricordo del racconto di Tonino, il primo presidente di Piazza Grande, di come la sua vita si spezzò proprio un 25 dicembre. Da quel giorno beve sempre un po’ di più quel giorno e si rifugia nei suoi fossi.

E anche quest’anno che è il primo insieme a mia figlia appena nata provo a chiamare quei sei o sette numeri di “borders” che ho in rubrica. Molti di questi amici sono ex membri del gruppo che ha dato vita al Blog Asfalto, ed oggi sono per lo più collocati in percorsi di reinserimento o di comunità terapeutica. Ma anche loro si danno alla macchia quasi tutti. Finalmente mi risponde almeno Stefano Bruccoleri, sì quello che è diventato scrittore e mi dice che per Natale mi regalerà alcune copie del suo ultimo libro: L’Allevatore di Farfalle, quanto meno perché c’è dentro la mia prefazione. Sono ansioso di vedere le mie parole pubblicate su un libro.

Mi ritrovo a condividere con Stefano la stessa difficoltà ad accettare serenamente la felicità. E più ti si presenta davanti maestosa e più tremano i polsi.