
Sì lo sanno tutti ed ormai è una storia vecchia: verso la fine del mese scorso c’è stato un omicidio qui in via del Porto, fra i cassonetti e sui marciapiedi di questa reietta parte del centro di Bologna. Due persone che vivono la strada si sono affrontati con coltello e cacciavite. Uno dei due è stato ucciso e lasciato sul marciapiede. L’altro è in galera, punto. La macchina della giustizia farà il suo corso. Se n’è parlato e se ne parla ancora: la gente ci ferma e ci chiede “ma lì come va? Cos’è successo?…”. Si vorrebbe rispondere che qui è normale, ma per fortuna non è vero, è un fatto grave e straordinario. Persiste la rabbia e lo sgomento. Poi ognuno fa sedimentare dentro di se quello che può e sistema le proprie caselle.
Tutti qui conosciamo vittima e carnefice, rispettivamente Salim (i giornali lo chiamano Kalivi, che probabilmente è il suo vero nome, ma noi lo conosciamo come Salim pertanto rimane così per noi) e Vincenzo. Abbiamo conosciuto le loro voci e i loro movimenti ed è per questo che abbiamo cercato di andare oltre i titoli dei giornali che parlano di Far west e di Barboni affamati come lupi di strada. C’è chi vuole analizzare questa storia per capire altre cose riguardo alla sicurezza in città, alla convivenza e c’è chi preferisce semplificare nelle categorie di buono e cattivo. Sicuramente la strada non migliora le persone, eppure c’è chi, in ogni luogo, si adopera per non offendere il prossimo e magari anche dare una mano. Nel primo post si è cercato di srotolare dei percorsi di vita, si è giudicato, ci si è sfogati di un giusto risentimento. Qualcuno (giornali compresi) si indignano per il futile motivo del duello (una griglia, del cibo, una birra di troppo): come se ci fosse un motivo sufficientemente importante per togliere la vita al prossimo. Ci siamo scontrati sulla presunta complessità di questa storia. Ma se questo posto ha un senso, se il lavoro sociale ha un senso si dovrà anche dare una risposta al problema della devianza e della sicurezza.
Prima dei problemi sociali ci sono le persone.
Salim era un nord-africano particolare: un algerino dagli occhi piccoli e straordinariamente chiari. Capelli sempre curati spesso organizzati in un caschetto un po’ anni 90 e una voce profonda. Piaceva alle donne italiane Salim. A leggere così sembra un angelo… beh non credo proprio lo fosse, ma ora tutto questo non ha più senso: la morte non cancella le azioni, ma almeno salda il conto, almeno credo.
Di Vincenzo si è detto molto, in tutti i sensi. Un gatto biondo e selvatico di strada. Di quelli che squalificano gli altri abitanti del capoluogo campano: per arroganza, ignoranza, antipatia e una faccia che non aiuta. Anch’io come Simpit l’ho conosciuto a Piazza Grande; poi l’ho ritrovato qui che andava in giro a pulire e ingrassare serrande, teneva piccoli banchetti stagionali in via Marconi, si arrangiava. Possiedo ancora una stuoia da mare comprata da Vincenzo. Poi sempre più giù, più giù e ancora. Aggressioni, diffide, allontanamenti.
Compagni di bevute quei due, ha detto qualcuno. Integrazione spontanea di strada fra gruppi estranei, condotta con parole e codici che nessuna ricerca può codificare. Un destino comune ci dice la storia. Una danza macabra che li ha portati a essere troppo stretti, uniti nella morte e nella disperazione. Protagonisti. Si potrebbe pensare.
Gli attori hanno un teatro.
Via del Porto, via Don Minzoni, via Marconi, via dei Mille, Piazza dei Martiri (e mai nome fu più appropriato) e poi via Azzo Gardino e i giardini dell’ex Manifattura. Questa è la scena.
Da bolognese ricordo che questa è sempre stata una zona povera e inospitale, senza attrattive particolari, ora la si vuole rivalutare e va bene: Mambo, Cineteca e va bene. I residenti, che pure hanno dimostrato un grande livello di tolleranza e senso civico, si sentono minacciati, schifati dal degrado umano che abita questi territori e si comincia a rompere le palle. E va bene. I Comitati dicono, insieme al Quartiere Porto che “La mensa comunale di via del porto crea grande degrado nella nostra zona (…) Da un anno e mezzo il sindaco ci ha promesso di spostarla. Promessa non mantenuta. La parte finale della stessa via, dietro il MAMbo, è in condizioni penose. Dovremmo essere contenti di questa Amministrazione?”. La vicesindaco Adriana Scaramuzzino risponde che: “Quel centro diurno è stato già fortemente depotenziato in questi anni. Non sono in grado di prevedere se riusciremo a chiuderlo entro la fine del mandato. L’intenzione è comunque quella di spostare gradualmente il servizio, nell’ambito del decentramento delle deleghe ai quartieri” (dalla Repubblica Bologna del 27 giugno 2008). E va bene così: tutta colpa del Centro diurno?! Facile ed efficace. Politicamente accettabile. Una risposta geografica ai problemi. Ma va bene così: si governa il territorio.
Eppure la scena è più complessa: le stesse persone che trovano un riparo e un servizio al Centro Diurno frequentano abitualmente la Stazione centrale, la vicina Coop e i cento negozi di “pakistani” della zona. Però nessuno ha chiesto di spostare la Coop o di togliere le licenze ai distributori a ciclo continuo di birra e tavernello. Strano ma non troppo.
La sicurezza è un problema serio e non va banalizzato. Ci credo a tal punto che mi chiedo infatti quale sicurezza è stata garantita a Mariano Tuccella? Massacrato di botte da tre giovani lupi dal pelo candido. E quale sicurezza per Salim? Quella sera.
La sceneggiatura dei percorsi.
Ognuno compie un percorso; una strada che spesso porta a girare intorno, ma a volte non è così: ad un certo punto c’è una svolta, si intraprende un bivio che difficilmente ti permetterà di tornare indietro. Un giro di boa che è molto più facile verso il basso, verso la rovina.
Una volta ho sentito parlare della Sindrome neuropsichica da aria compressa: una specie di ebbrezza da profondità che può colpire il cervello dei subacquei, pericolosa in quanto, in certe condizioni di profondità, può arrivare a far perdere il senso di realtà e si racconta che il soggetto è spinto a nuotare sempre di più verso il fondo che verso la superficie. L’annegamento è la conseguenza.
Vincenzo stava facendo la sua immersione, il suo percorso di formazione per fare il salto di qualità. Sia pure verso il basso. E l’ha fatto eccome. D’altronde quando le uniche regole e conferme ti arrivano da quel mondo fai comunque di tutto per essere il primo della classe. Anche se per il resto del mondo sei l’ultimo degli sfigati. Mettetela come volete, ma da oggi Vincenzo verrà giudicato, dalla legge, in primo luogo come assassino e non più e non solo come un barbone. E questo può avere un senso nella sua testa, per la sua vita. Si è emancipato in qualche modo.
Epilogo. Gli ultimi minuti da barbone.
Vincenzo no, per allah, non doveva finire così. Sì ok era un giorno di merda come gli altri, però è estate e le serate sono fresche, peccato. Sapevo che tu avresti potuto farlo, però non credevo che morire fosse così: tutto perde senso. Strano: non ce l’ho neanche con te, anzi provo pietà per te che resti e che adesso hai paura. Io non ne ho. Se vuoi rimani qui con me.
In fondo abbiamo fatto un passaggio importante insieme Vincenzo, abbiamo svoltato. È la fine di quella vita di merda. Ce l’abbiamo fatta. Doveva succedere.
Mi dispiace solo essere lasciato qui fra i bidoni e le auto, brutto morire col puzzo di piscio nel naso. Che strano: prima non lo sentivo. Ma lentamente comincia a scomparire l’idea stessa di cosa esiste e cosa no; avere e non avere niente; l’idea di cosa è buono e di cosa è cattivo; bello o brutto. Qui è tutto nuovo, da imparare da capo. Sono stanco. Speriamo ci sia un posto. Senza documenti e permessi.