quando: dal 15 novenbre al 3 maggio 2009.
dove: museo del patrimonio idustriale.(via della beverara n.123)
orario: da martedi al sabato ore9:00-13:00 sabato e domenica ore 15:00-1800
ingresso: ingresso gratuito
descrizione programma: moto Bolognesi del dopo guerra, la motorizzazione popolare del 1946-1950
quando: sab 28 feb 2009
dove: il vibra si trova in via 4 novenbre 40/a 41100 modena
orario: 23:00
ingresso: l’ingresso costa 13€ ed è riservato ai soci arci
concerto e genere: postartpunck>>WIRE
quando: sabato 28 feb 2009
orario: 21:00
dove: presso il ginga art cafè (via nazario sauro n.10/b).
ingresso:libero
tributo>> IGGY zello and greg-ginga cafè.
concerto: alcuni brani degli stones e non solo reinterpretati in chiave eno-acustica.
quando: 28 feb 2009
ore: 10:30
dove: pinacoteca nazionale (via belle arti n.56).
ingresso: gratuito
armi e armati nei dipinti della pinacoteca con: Sandra Fiumi
Archivio per febbraio, 2009


Prendiamo un altro aspetto. Il governo di centro sinistra non ha fatto nulla per oliare la macchina burocratica dei permessi di soggiorno dove gente che prima lavorava, ora non può perchè aspetta anche un anno il permesso di soggiorno con l’inevitabile trasformazione di un lavoratore ad uno spacciatore, in molti casi. Da li si arriva ad un altro aspetto, ovvero l’esplosione demografica delle carceri italiane dove ormai la metà sono occupate da extracomunitari e che magari non ha mai lavorato in Italia e per vivere ha sempre infranto la legge: casi classici sono i furti e gli stupri per cui il governo di centro destra non ha attuato le espulsioni col divieto di ritorno, come avevano promesso, perchè sono fermamente convinto che chi stupra una volta lo farà una seconda e cosi via; questa gente è già delinquente nel loro paese e non merita un reintegro in una società civile e democratica. Per cui diciamo che c’è una vasta gamma, a prescindere dalla nazionalità, di persone che commette queste inaudite violenze a cui il nostro governo non riesce a dare una risposta con i fatti: per cui siamo costretti a difenderci da soli. DISARMANTE.
Leggo sui giornali e resto basito: un’altra storia di stupro da parte addirittura di un amico della vittima con tanto di furto. Evidentemente il presunto amico aveva la sicurezza che la donna 53 enne non avrebbe sporto denuncia, ma per fortuna così non è stato. La vittima non ha avuto paura ha denunciare il fatto, come non ha avuto paura la ragazza vittima di uno stupro a capodanno di dichiarare che si farà giustizia da sola, visto che lo stupratore è stato rilasciato, e qui è l’assurdo, PER BUONA CONDOTTA, e questo basta a capire come in materia di applicazione della legge la cosa è latente e di come ancora lo stato pensa prima a tutelare i propri interessi economici, privati, e lasci le persone vittime di questi abusi, totalmente a se stessi, instaurando una totale assenza di sicurezza nella mente delle persone.
Dopo questo ennesimo caso di violenza sulle donne hanno dato al premier la risposta più cruda e crudele alla sua stupida esternazione.
Guardando dentro casa nostra dove accadono gli stessi episodi, ma che magari non si sanno perché molte volte si consumano dentro le mura di casa, è dove chi sa non parla perché "è meglio farsi i fatti propri", pene esemplari, perché qualsiasi tipo di violenza è una violazione dei diritti della persona che in molti casi si porterà dentro tutta la vita con conseguenze devastanti e di vario tipo (e qui parlo anche per esperienze personali).
E’ la situazione è addirittura peggiorata. Quattro stupri in una Settimana a Milano. Una di queste ragazze non aveva mai avuto rapporti prima di allora. Mi spingo a cercare di capire cosa può succedere nei pensieri di una ragazza che subisce una violenza del genere. Le è stato tolto con la forza, la prepotenza e con la ferocia una cosa che doveva essere nella sua immaginazione BELLA, STUPENDA, piena di AMORE. Gli è stata tolta quella cosa che finalmente la fa sentire donna assieme al suo uomo; gli si sono bruciati i sogni e gli si è tolta la capacità di decidere di scegliere con chi farlo. Gli si è tolta la LIBERTA’, per colpa di bruti che siano rom, italiani, nord africani o cinesi. Questi bruti non hanno nazionalità alcuna, l’unica cosa che gli accomuna è la ferocia animale che non riescono a controllare, la loro schifosa libidine che devono dimostrare con la violenza, perché se no non si sentono uomini: purtroppo per loro non lo saranno mai. E purtroppo per quelle loro povere vittime anche la loro vita e il loro sentirsi libere di essere donne non sarà più lo stesso e probabilmente si sentiranno sporche rispetto alle loro coetanee. Per loro niente sarà più lo stesso e le paure avranno facce e nomi che sentiranno dai telegiornali.
Per questi ANIMALI ci vogliono pene esemplari e applicate senza alcuna attenuante perché non si può vivere nel terrore, e il nostro governo e la nostra società devono avere tolleranza zero e prendersi tutti le proprie responsabilità.
Ma gli abusi sessuali assumono contorni diversi entro le mura domestiche; è qui si scende anche di età e si cambia di sesso non per forza al femminile.
Nelle famiglie dove si affidano dai piccoli, agli adolescenti si consuma forse una violenza più forte e continuata, rispetto a quella da strada più fugace "ma non meno traumatica", con un abbassamento dell’età, e con l’inconsapevole complicità di chi affida (come si può affidare dei minori con già dei problemi di abbandono a delle famiglie con già dei propri problemi?), pensando che l’adolescente vada a star bene. Ciò che salta in mente è che per paradosso le denunce partono da dai genitori naturali.
Potremmo parlarne all’infinito, ma l’unica cosa che mi viene in mente è che ci vuole una legge ad hoc e ben ponderata su: molestie sessuali, stupri, adoz
ioni facili e pene esemplari senza sconti di sorta, superando lo scoglio della burocrazia, adottando subito un decreto mirato è al più presto trasformarlo in legge senza opposizione alcuna di chi o chi non sta al governo, perché è un problema serio è coinvolge la società, non solo italiana ma tutta quella nuova piattaforma sociale che comunemente chiamiamo GLOBALIZAZIONE, che non è un termine qualsiasi, ma è un termine che dovrebbe togliere tabù e disuguaglianze.
Meglio per tutti dare la colpa a Noi
Pubblicato: 24 febbraio 2009 da massitutor in asfalto fuoriporta, pensieri in libertà, stampa alternativa
Gli intenti di Nico Cosentino e del suo omonimo blog mi sono chiari da subito: veicolare la sua poesia. Mi colpisce da subito l’urgenza di questo autore e ne percepisco il sacrificio. Uomo capace di grandi frasi definitive Nico, il titolo del suo ultimo libro mi seduce e mi rimane in testa per giorni: "Meglio per tutti dare la colpa a me". Penso che potrebbe essere un bravo pubblicitario Nico, tant’è che dopo una settimana ho ordinato via posta il libro, presso Grauseditore (solo 10 euro ed è arrivato tranquillamente dopo pochi giorni).
Erano anni che non leggevo una raccolta di poesie. Queste centodieci pagine le ho lette in un unico viaggio in treno e mi sono rimaste dentro fino ad ora. Si può dire che è una poesia che arriva allo stomaco. Più che poesie sono racconti che hanno dentro la poetica del rimpianto e della nostalgia maturata in una vita che sembra lunga, mentre conta solamente 26 anni.
Una poesia geografica quella di Domenico, una poesia incazzata e disillusa come quella di Bukowski. Ricordi e fotografie lasciate in giro per il territorio come le pisciate di un cane segnano il territorio e costruiscono una geografia fatta di dipendenze, spiccioli, sbronze, amori e lacrime. Leggendo questi racconti senza titolo si provano diverse emozioni contrastanti: ci si diverte, ci si sbronza, si prova schifo, freddo, ci si eccita e ci si innamora. Nico guarda gli altri da gabbia a gabbia, come in un grande Zoo Sbraita, urla e s’incazza, ma ogni tanto ci fa pace. Nico misura la sua distanza dai margini e penso possa essere un membro naturale di questo blog.
Alcune poesie per cominciare a conoscerci:
Sfogo
Seduti su un muretto.
Una bottiglia di ron in due
E l’aria e le lacrime. E le parole gridate
E la gente che ci guardava
“andate a fanculo” urlavo.
Come se loro fossero la colpa di tutto.
Andate a fanculo… dovremmo urlarlo a noi stessi.
2,75 euro
ho frugato in tasca e ho esattamente 2 euro e 75 cent.
poco per mettere la benzina, mi toccherà camminare a piedi.
per molto ancora.
forse scadrà anche l’assicurazione prima che possa fare un pieno.
qui a casa non resisto, non ce la faccio.
prendo il giubbino estivo e scendo.
ho questi panni addosso da due giorni. ma vestiti leggeri non ne ho.
e quindi mi faccio in culo.
anzi a me non disturba. che s’inculino gli altri.
devo scegliere.
se mangiare o fumare.
scelgo di fare entrambi, e con questi spiccioli faccio entrambe le cose male.
mi prendo un sigaro da 60 cent, quei sigari che si sfaldano in bocca
e che hanno l’odore dello sterco bruciato.
ma è sempre un inizio.
basta iniziare.
poi prendo sei uova, dal fruttivendolo sotto casa mia.
ce ancora un euro.
compro una bottiglia di vino da 80cent.
stasera è festa.
ho da fumare, da mangiare e perfino da bere
e in tasca mi rimangono 20cent.
via Foria
ho allungato per via Foria,
per fumarmi un mezzo toscano in tranquillità.
Per stancarmi e non pensare,
ridurre il cervello in una pappina molle e grigia.
Passavo davanti al giudice di pace.
Camminando tra avvocati in completo grigio
e cravatta gialla,
e tra i loro assistiti.
mi sono reso conto di esser più simile
ai papponi, ai borseggiatori,
agli stupratori e ai comuni ladri.
Ho più cose in comune con questa feccia
che con la gente per bene.
Disprezzato dalla famiglia
Pubblicato: 22 febbraio 2009 da massitutor in assistenze e bisogni, famiglia, hivLa discriminazione si è estesa rapidamente, così come l’ansia e il pregiudizio nei confronti dei gruppi maggiormente colpiti e delle persone sieropositive.
Ma alla malattia sono associati anche lo stigma, la repressione e la discriminazione, poiché gli individui colpiti dall’Hiv a volte sono respinti dalle loro famiglie, dai loro amori e dalle loro comunità.
Questa è una testimonianza di Anon un trentacinquenne, cittadino di un piccolo paese del centroamerica, Honduras .
Anon ci racconta la discriminazione, l’emarginazione del suo ex compagno sieropositivo, all’interno della propria famiglia .
Anon si racconta su www.avert.org/
Ottobre 2007: ricevetti una chiamata che mi informava della sua morte. Mi incontrai segretamente con una persona che lavorava presso la casa della sua famiglia e scoprì che gli davano da mangiare sempre nello stesso piatto, con le stesse posate e da bere nello stesso bicchiere; ben presto maturai l’idea che fosse stato isolato dalla sua stessa famiglia. Il suo rasoio, come anche il suo spazzolino stavano sempre tra la spazzatura e nessuno si interessava delle sue pillole. Egli si sentì così maltrattato nella sua stessa famiglia.
Era costretto a dormire su un sofà coperto da un semplice nylon, perché era incapace di trattenere le sue feci, tutto ciò non faceva certo bene ai suoi reni che erano in parte compromessi.
Aveva perso tutta la sua voglia di vivere e, ad un certo punto, anche la ragione: non era più in grado di riconoscere i membri della famiglia, i suoi amici, o i suoi tre piccoli figli, che una volta abbracciava e baciava ogni volta che poteva, mentre la famiglia cercava in tutti modi di tenerli lontano da lui per paura che fossero infettati.
Ad un certo punto smise si assumere gli antiretrovirali, ma nessuno se ne curò, nessuno si interessò al fatto che, ogni volta che spostavano il sofà su cui dormiva, comparivao da sotto i medicinali non utilizzati.
Piangevo mentre il suo amico mi raccontava queste cose e il mio stato d’animo peggiorò quando mi disse che non era la prima volta che lo cacciavano di casa e che era stato anche costretto, la prima settimana di Settembre, a dormire tre notti per strada.
Fu poi ritrovato da alcuni amici della moglie, i quali lo gettarono come un animale agonizzante in un posto molto simile ad un rifugio abbandonato, dove morì solo, con un’ infinita tristezza nello sguardo, con gli occhi spalancati al cielo e con in mano una foto dei suoi tre figli.
Torna la nostra mitica rubrica di appuntamenti da godere con pochi, pochissimi soldi in tasca… quasi niente. Questa volta proposti dal nostro Beo88.
venerdì 20 febbraio 2009
dove: sala del baraccano (via Santo Stefano 119)
orario: 18:30
costo: ingresso libero
il piccolo principe tradotto in Bulgnai? da Roberto Serra.
venerdì 20 febbraio 2009
dove: librerie coop. ambasciatori (via Orefici 19)
orario: alle 18:00
costo: ingresso libero
incontro con Gulielmo Brayda autore di assenza di scelta.
venerdì 20 febbraio 2009
dove: Feltrinelli librerie (piazza di porta Ravegnana 1)
orario: 18:00
costo: ingresso LIBERO
MAMMA DAMMI LA BENZA! GIANLUCA GALIANI AUTORE DEL LIBRO NE PARLA INSIEME A ODERSO RUBINI. PARLANO DI PAZ!!! CONSIGLIATO DA BEO88!!!
venerdì 20, sabato 21 e domenica 22 febbraio 2009
dove: spazio Capo di Lucca, (via Capo di Lucca 12) Bologna
orario: dalle 17:00 alle 21:00
costo: ingresso gratuito
sub ject 3 giorni di fumetto, grafica e cartuns.
CONSIGLIATO DA ME!!!
sabato 21 febbraio 2009
dove: museo internazionale e biblioteca della musica (strada Maggiore 34)
orario: 16:00
costo: ingresso libero
strumenti popolari, antichi ed esotici nel rock degli anni 60-70.
sabato 21 febbraio 2009
dove: baraccano (via Santo Stefano 119)
orario: 16:30
costo: ingresso libero
coriandoli di storia Bolognese-strambe strade, strambe storie, bizzarrie nei nomi delle strade Bolognesi.

LASCIATEMI VIVERE QUESTA MIA FOLLIA
Una parola morta, vigeva sul dire di un quasi finta di capire… e in ogni notte, pensava e volava in sogni strani, in sogni puttani che ti abbandonano in quei momenti di solitudine, che non vorresti… poi alzi gli occhi al celo per guardare le stelle e chiedere alla luna se è giusto andare avanti così perchè senza dio non c’è ritorno e al cuore in fondo si può perdonare l’amore che manca e inniettarsi la follia nelle vene o vedere gli egoisti mangiare a crepapelle. questa vita è uno schifo e ho solo voglia di morire, ma non mi resta che capire che se ci fosse solo un pò più di amore |
come luci che illuminano la notte questa mia follia |
Milano. Una storia underground
Pubblicato: 18 febbraio 2009 da massitutor in amicizia, asfalto fuoriporta, assistenze e bisogni, civiltà, viaggioMilano. Milano ti fa dire vaffanculo e porca puttana.
Milano ti fa venire voglia di bestemmiare. Più ci vado e più penso quanto tutti i luoghi comuni e le rappresentazioni di questa città siano fondate: Milano coltiva i propri stereotipi come un prodotto tipico locale. Persone che devono essere tristi per natura, ciniche per educazione e stronze per professione. Si dice che è una città fredda, violenta, inospitale e che la gente va dritto perla sua strada, a capo chino, fregandosene del prossimo. Cose così insomma e… beh è tutto vero. O quanto meno è la percezione che si ha girando nei soliti posti di Milano: Stazione centrale, metropolitana, Piazza Duomo, Corso Como… Poi sicuramente chiunque abbia un parente, un amico, un affetto a Milano sarà pronto a giurare che tutto ciò è falso, che bisogna conoscere la gente, che bisogna frequentare i posti giusti, che c’è tutta una Milano nascosta (ogni città ne ha una) da scoprire e rivalutare. Insomma un riscatto morale da qualche parte c’è sicuramente, ma sicuramente non è facile da trovare. Chissà quanti insulti si prenderà ogni giorno la povera Milano; insulti e maledizioni, da chi la odia, da chi la amava com’era una volta, dai viaggiatori, da chi ci va per lavoro, da chi ci passa e basta e non ci capisce niente. Magari qualcuno se ne dispiace pure del tanto veleno sputato, eppure non può farne a meno, ogni giorno… porca miseria, porca puttana, ma che cazzo di città!Poi c’è una grande fetta di persone che questa città non la giudicano in nessun modo:
la vivono e basta e non ne vogliono sapere mezza. Questi milanesi in cattività si dividono in due grandi categorie: quelli che vanno in giro prendendosi terribilmente sul serio e con lo sguardo vuoto e sicuro scivolano nella metro trascinando ogni genere di valigia a ruote; in un’ora di passaggio potresti riempire un container ferroviario di computer portatili, ipod, palmari, telefonini. Con le unghie e coi denti restano appesi al loro “crederci”. Eppure i milanesi vivono la strada e tanto: ogni giorno, per molte ore al giorno trascinano le scarpe lungo marciapiedi battuti dal vento e respirano l’aria viziata della metropolitana; molta vita dei milanesi trascorre sottoterra. Qualcosa li avvicina quotidianamente all’esperienza cruda della strada, quella più fredda e puzzolente. A qualunque categoria sociale appartengano, indipendentemente da chi li aspetta a casa. Ma la linea cade continuamente e allora è tutto un “Pronto? Mi senti? Pronto! Come dici? Ti richiamo! Niente… Cade, Non ho campo… Ci sei? Ascolta… non ti sento. Pronto… pronto, pronto? Ciao sono io!… Pronto? Ma dove sei?!! Dove sei.” Le persone che vivono in strada qui le chiamano Barba. Non è male come termine tutto sommato: è più carino di Barbone e più italiano di Homeless. Anche ai Barba non frega niente di Milano. I barba di Milano che ho conosciuto sono persone che sono state quasi rapite dalla strada; sono una fetta di popolazione che sono diventati più “tribù” rispetto ai Barba delle altre città. A Milano la faccenda dei Barba sembra una questione anticamente antropologica: li vedi che sono già così e nessuno ha memoria di quando erano qualcos’altro; ti si presentano solo quando sono già trasformati dalla strada, sono pieni della cultura che in strada gira e prolifera, sono laureati e cosa vuoi farci?Sono laureati… E Victor dice “Babe… devi fidarti di me” e fa cadere la sua voce dai grattacieli e poi i racconti di grandiose migrazioni e progetti di conquista di territori fertili. Come se i Barba potessero diventare una tribù post-moderna di convivenza e sostegno reciproco. Finché ci si crede la speranza in qualche modo è ancora possibile.
Ma la verità del Tutto emerge da una frase che ha continuato a girarmi in testa durante tutto il viaggio di ritorno: è una donna, forte e tonda, è una donna innamorata, con il viso di una bambina e con la strada nei capelli e negli occhi. Recita una sua poesia a memoria “La mia casa è la mia pelle… e per tetto un cielo di stelle”.
dopo aver parlato di te con Robbi, la Fra, Mauro, Chiara; dopo aver scritto di te sul diario dello Zac; dopo aver ripensato all’ultima volta che ti ho intravisto in cooperativa, entrare silenzioso, e silenzioso uscire; dopo aver detto di te ai colleghi che non ti hanno conosciuto e agli ospiti che invece ti conoscevano:
Stamattina mi sono svegliata con il pensiero di te e mi sono venute in mente tante immagini:
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i primi turni, tu che giravi continuamente su e giù per le scale, ti fermavi a parlare con gli ospiti, mi spiegavi le cose, mi dicevi ‘Non ti spaventare, qui sono tutti un po pazzi...’…e scrivevi, scrivevi, scrivevi: eri l’operatore pari più scrivano di tutti!
Sai che mi sentivo più sicura, se sapevo che in turno c’eri tu, (per me) l’operatore ‘con le palle’?
Avevi un bel rapporto con gli ospiti: chiedevano di te perché sapevano che avresti potuto capire ed aiutare, e ti rispettavano anche, perché eri capace di farti rispettare.
Poi lo so Delvis, "Che Palle" mi dirai tu, e che fatica il nostro lavoro, tanta fatica che a volte i nervi non stanno al loro posto, si accumulano parole, visi, sfoghi, gesti, tensioni in turni troppo lunghi, che non finiscono al cambio d’ora, dove i sorrisi sono sempre di meno, e tutto si deposita sul cuore, giorno dopo giorno, strato dopo strato.
Tutto si sedimenta e rischia di indurirsi, di creare una scorza inflessibile che può difendere ma che può anche ferire.
e dirti buon viaggio, da parte di tutti.
In tale occasione il Centro Diurno osserverà un’ora di silenzio televisivo e lo spegnimento delle luci in sala, dalle ore 12:00 alle ore 13:00. Nel laboratorio informatico, nel pomeriggio terremo le luci spente e magari invece di stare ai computer faremo qualche lettura e due chiacchere.
Semplici cittadini, scuole, aziende, musei, gruppi multinazionali, società sportive, istituzioni, associazioni di volontariato, università, commercianti e artigiani hanno aderito, ciascuno a proprio modo, alla Giornata del Risparmio e tra loro anche noi!
Vivere una vita di strada non significa comunque e necessariamente essere insensibili a questioni che riguardano noi, il nostro pianeta e i figli o i nipoti che molti di noi hanno e a cui toccherà vivere nel mondo che gli abbiamo lasciato.
Una questione di solidarietà generazionale.
Essere in uno stato di disagio sociale non significa quindi essere insensibili a tali problematiche e se c’è un modo per dimostrare di essere migliori di tutti coloro che si professano "società normale" e smentirne i pregiudizi che questi hanno nei confronti di chi versa in uno stato di emarginazione è proprio il poter dimostrare loro che spesso chi è considerato peggiore può saper essere in realtà molto migliore, specie rispetto a chi ha l’abitudine di predicare bene per poi inevitabilmente andare a razzolare male.
Nel nostro piccolo anche noi possiamo dimostrare di non essere né ignoranti, né insensibili, né menefreghisti in tal senso ma di avere a cuore in una qualche maniera il futuro che ci si prospetta.