Prosegue il racconto a puntate del nostro amico lontano Stefano "Bici" Bruccoleri. Il viaggio a tappe nelle terre di mezzo, dei margini qui fa un salto indietro: un flashback nel tempo e nello spazio in una zona indefinita che possiamo solo immaginare. Dalle lotte di incomprensione con servizi sociali e sanitari, educatori e ogni altro genere di agenzia di controllo-recupero approdiamo qui al confine ultimo conosciuto: l’opzione definitiva fra l’esserci e il non esserci; il corpo come prigione di dolore dal quale sembra possibile evadere.
Un testo questo che avevamo già presentato in forma di video, con la collaborazione di Massimo Macchiavelli, ma che riporto ora volentieri nella sua primaria veste letteraria perché ne vale veramente la pena: ancor più di altri passaggi del Diario Alkoliker questo testo presenta parole levigate a mano ed incastonate da un esperto artigiano in un meccanismo unico di emozione, verità e testimonianza.

Agosto è il mese dei suicidi.
E’ alta stagione per la psichiatria, trovare un posto letto in repartino è quasi impossibile, ma se sei abbastanza fortunato puoi ancora trovare posto nella provincia. Dipende da chi c’è di guardia in pronto soccorso.
Villa Cristina alla periferia di Torino?
“No lì non ci voglio tornare” Ci avevo trovato Michela del gruppo di alcolisti, non mi riconobbe, sembrava che le avessero gonfiato la faccia come un canotto, la pelle del viso liscia e molla come le dita cotte quando si lavano i piatti con l’acqua calda. Gli occhi vuoti che guardavano al vuoto: l’opera devastatrice degli psicofarmaci e di una vita che ti insegue, perché senza quel corpo non ci sarebbe vita. Quella vita.
Ho trovato la chiave! Bello, ma perché non ci avevo pensato prima. Mi sale la pace e mi si sciolgono i sassi nello stomaco, covo di pugni annodati e dimora di tutte le angosce.
Quando stai così di merda non servono neppure gli psicofarmaci e non servirebbe neppure riavere il mio amore.
Ma adesso tutto questo non conta, ho trovato la chiave, la pace.
Mi dispiace solo per Zora. Di lei credo e ne son certo se ne occuperanno Maria Grazia e Sergio.
La gomma che il vicino usa per innaffiare il giardino dovrebbe essere della stessa misura della marmitta dell’APE 50. L’ho smontata e rimontata il mese scorso e la gomma la vedo tutti i giorni. Se dovesse essere troppo stretta posso scaldarla sul fornello ed allargarla mentre se fosse troppo larga in laboratorio dovrei avere sicuramente una fascietta nella Scatola Magica.
Ci sono voluti dodici anni per averla così fornita. E’ una vecchia scatola di biscotti in lamierino leggero in stile tarda Liberty con i caratteri delle lettere giallo oro tipiche degli anni 40/50. Un artigiano non può fare a meno di una Scatola Magica. Quando al sabato ripulivo il laboratorio riponevo tutte le viti e chiodi che trovavo in terra o sul fondo dei cassetti e dato riporle tutte negli appositi separatori sarebbe stato un delirio li riponevo nella scatola dei biscotti. Dopo dodici anni potevo trovarci tutto di tutto, e di tutte le misure: chiodi, viti, rondelle, dadi, bulloni e fascette. Ah è vero, mi stavo perdendo!
Prendo il coltello e vado a tagliare un pezzo di tubo, dalla marmitta all’abitacolo ce ne vorranno due metri e mezzo. La cilindrata dell’Ape è 50 centimetricubici ed in proporzione lo scarico dovrebbe avere un diametro non superiore al centimetro e mezzo. Nessuna fascetta metallica entra che è un piacere, ed è un piacere vedere che dopo tanti anni di lavoro, posso fare a meno del metro e del calibro. Il tempo di un sorriso compiaciuto e poi porto la gomma nell’abitacolo, mi siedo e tiro la porta. Mi chiudo dal dentro, mi chiudo dal fuori.
Alzo la leva dell’aria, giro la chiave e pigio lo START. Attendo alcuni secondi e quando il motore comincia a singhiozzare abbasso la leva per ridargli ossigeno.
Gesti essenziali, misurati, senza incertezze, come se lo avessi sempre fatto.
Mi coglie un senso di pace che non ricordo di aver mai provato, trovo persino il tempo di prendermi in giro.
“Certo che per un asmatico è proprio un modo del cazzo per morire”. Che faccio torno un attimo in casa a prendere i broncodilatatori? E se comincio a tossire? Vorrei morire addormentandomi e non sputando pezzi di polmone!
Immagino i titoli dei giornali: “Artigiano asmatico si suicida con i gas di scarico, trovato in un lago di sangue”. Merda così no! Che figura da fesso. E giù a ridere in questa nuvola di fumo. Mi è sempre piaciuto il profumo della benzina e dell’olio sintetico bruciato, mi ricorda quando da ragazzino nell’officina del vecchio questi accendeva le moto dentro l’officina incurante della presenza dei clienti.
Che pace. Adesso. Qui dentro. Comincia a bruciarmi gli occhi, a raschiarmi la gola e mi chiedo se lo sto facendo veramente. Se mi sto ammazzando veramente. Peccato perdere questa pace proprio adesso che l’ho trovata.
Non posso rinunciare al mio progetto, ho scritto anche l’ultima lettera con tanto di scuse e indicazione per il cane. Che dire poi della mia autostima?
Già la sento mia madre “Cominci mille cose e non ne finisci neanche una”.
Questa volta però vorrei finirla con la pace di questo momento.
E se riuscissi a trovare questa pace fuori? Forse non l’ho cercata abbastanza, forse non l’ho cercata nel posto giusto.
Questi ultimi tre quarti d’ora li ho vissuti serenamente, e se ci fosse il modo per allungarli ancora una volta, due volte, tre…
No non è possibile!
E se invece lo fosse?
Ho trovato la chiave, la seconda oggi, oppure la stessa che chiude e apre?
Spengo il motore. Proviamoci.