Residenti, non residenti; chi sta dentro e chi sta fuori? Chi decide e su quali requisiti? Attorno e lungo i confini disegnati da un’accoglienza geo-architettonica lavorano, vivono e sopravvivono delle persone.

Erano i giorni del Festival Naufragi; lavoravo insieme ad Andrej alla costruzione della mappa cittadina dei servizi e alla pubblicazione online della Guida ai Servizi "Dove andare per…"; passa dal laboratorio Gian Maria Vallese di Nuova Sanità e mi consegna un testo. Chiedo che cos’è, mi dice che è qualcosa sull’accoglienza. Ma cosa devo farne? Quello che vuoi, mi dice. Se non ho incarichi precisi tendo a non prendere decisioni sul materiale altrui, dunque lo leggo, lo rileggo, lo infilo in borsa poi lo metto in un cassetto. Dove è rimasto fino ad ora.
Poi, guardando il video di Caterina Pisto, abbiamo ricominciato a parlare di accoglienza e convivenza in città. Ci rendiamo conto che un convegno non basta, è solo l’inizio. Inoltre è importante che il pensiero vada oltre le stanze delle università e dei palazzi e prosegua proprio nelle strade, sui luoghi di lavoro, magari anche attraverso questo blog.
In quella discussione è emerso il solito vecchio problema delle risorse a disposizione e alle risposte diverse che vengono date ai bisogni delle persone: Mauro ci riporta che: "Strada facendo, il convegno triennale organizzato dal Gruppo Abele ha proposto l’ RMI , reddito minimo di inserimento ,e la carta dei diritti nazionale, una spece di tessera socio sanitaria per i disagiati, che schivi le pastoie burocratiche regionali ( per capirci, chi paga cosa e per chi) la Chiesa non ha questo problema, non distingue tra residenti e non". Per poi far emergere il tema della cronicità: che, in termini medici, si definisce "un equilibrio tra disturbo o elemento patogeno e le reazioni dell’ organismo ospitante. Puo prevedere delle terapie mediche, ma anche no. Il superamento della cronicità verso la guarigione una volta portava ad un uso scellerato delle terapie con frequenti esiti infausti. Oggi l’obbiettivo di cronicità/equilibrio è considerato fondamentale." Cosa viene fuori se esportiamo il concetto di cronicità nella società? Nei comportamenti devianti e compulsivi? Negli stili di vita?
Chi ha idee o domande da tirare fuori è il benvenuto.
Questo è il testo di Gian Maria di cui accennavo sopra:
Perché …. quando parliamo di accoglienza, inevitabilmente si toccano alcuni aspetti, compresi nella dimensione semantica del termine (“ricevere con varia disposizione d’animo, approvare, accettare, contenere, ospitare, raccogliere”); se ci poniamo il problema dell’accogliere, fino al suo significato profondo … dobbiamo considerare un dentro e un fuori, un luogo dal quale o nel quale si trova un soggetto e un altro, pronto ad accogliere lo spostamento … si accoglie qualcosa e qualcuno, sempre “dentro” qualcosa e qualcuno.
Ché tra dentro e fuori, esclusione ed inclusione, la linea di separazione è quanto di più lieve e al contempo forte, quanto più variamente deboli e/o forti possono essere le tendenze/linee politiche …”… che a ogni epoca corrisponde una strategia di modi di esclusione/inclusione ….”
Diverse e complesse sono le variabili che entrano in gioco.
È difficile mettersi di traverso e rompere il passo a chi ci ricorda che le ideologie con cui l’esclusione si legittima e fa vittime, sono vecchie e insieme sottilmente nuove, per cui vanno combattute direttamente, battute sul tempo, se ancora si riesce. Non è facile dire a chi fa politica e che ci invita ad “agire”: fermiamoci a ragionare sulla questione della linea, perché la linea è pur sempre un muro, uno steccato, un confine, una soglia, e noi vorremmo sapere quando torna ad essere il muro che vogliamo abbattere e quando invece essa è una soglia mobile, attraversabile in una direzione e in quella opposta.
E a proposito di soglie …. dalle basse alle medie, fino alle alte: di che si tratta, se non di misure, cifre, indici …. e così si dice che la misura è colma, che si è oltrepassata la misura, che è meglio tornare a fare le cose a misura, su misura, con misura ….. ma oggi che le misure stanno saltando o sono già saltate??!! Come ci misuriamo con la misura??!! Non con le poetiche dismisure e smisurate preghiere, dove egregiamente si scrive: “si tratta della con-fusione del nostro tempo … , che tragicamente (ma anche le tragedie vivono e fanno vivere le loro esaltazioni, le loro grandezze) prende atto, nella crisi di sé, della smisurata e lentissima (agonia sovente insopportabile) decadenza. Non la decadenza di un modo, di una moda, di un breve tempo, ma di un mondo. Di una civiltà. O cosiddetta.”
Ma delle nostre soglie sociali??!! … della famigerata bassa soglia, ad esempio …. cosa se ne evince dalle nostre piccole e grandi vicende??!! … lavoriamo veramente per l’inclusione, o talvolta le nostre pratiche ci spingono o meglio spingono verso l’esclusione??!! Che non sia, che lavoriamo per mantenere lo stato di esclusione dell’escluso??!!
Fino a che punto si accoglie, si include, l’escluso??!! … come non fare i conti con la dose di “esclusione” che è insita nell’atto dell’accoglienza, dell’inclusione??!!
Complessa è la questione del limen, del confine, della soglia, della linea…. “E quali sono gli effetti di un gesto politico che ritiene di costruire soglie e invece alza nuovi muri, e quanto sia importante, anzi vitale, per questo gesto, il riconoscere che ogni linea è ogni volta un muro e una soglia , un’ospitalità e un’esclusione: insomma che quel gesto mentre crede di essere positivamente univoco, è sempre doppio, e anche negativamente doppio. Infatti ripropone, sempre, la violenza inclusiva del dentro e del “noi”.”
Allora, “… per riuscire a “vedere” l’esclusione, di quale sguardo dovremmo dotarci??!!
Forse, lo sguardo, dovrebbe andare nella direzione del riuscire a comprendere meglio la nostra possibilità di “sopportare” l’ospitalità, di far propria un’idea di ospitalità che appartiene proprio a chi è nato nel deserto. Colui che in modo “inatteso” vi si presenta davanti ha sempre un posto riservato sotto la tenda. È l’invitato di Dio. ….
Noi invece, il nuovo arrivato, lo accettiamo solo se siamo riusciti veramente ad attenderlo (dentro di noi): cambia qualcosa in noi se vediamo l’altro, come un utente, uno straniero, emigrato o esiliato politico, studente, ricercatore, turista ……..
Qui da noi, se chi arriva è inatteso, è lo straniero, l’emigrato, il “senza nome”, rischia di essere percepito come un intruso, un invasore, un nemico e non sopportiamo che ogni soglia venga cancellata: questo ci tocca completamente e davvero ci spiazza.
Noi ospitiamo bene chi desideriamo ricevere, mentre l’inatteso (l’ospite nel senso più vero) ci spaventa.
Cosa ci resta da dire e da fare, una volta compreso che c’è una contraddizione insopportabile nel concetto di ospitalità/accoglienza??!! Come abitare autenticamente l’accoglienza??!! Forse dovremmo tornare “a vedere la linea di esclusione con cui inizia un processo di “internamento” che non riguarda soltanto i “folli”, i “respinti”, i “senza nome”, ma viene poi a coincidere con un tratto sociale caratterizzante”.