Aspettando Naufragi, il festival bolognese delle fragilità metropolitane, domani Massitutor andrà ad Ostia ad un seminario organizzato dall’Associazione Amici di Flavio Cocanari e dal Comune di Roma (XIII Municipio) sul tema:
"Per l’avvio di percorsi di inclusione sociale e lavorativa delle persone senza fissa dimora."
Sala Biblioteca Comunale Elsa Morante
Esordirà piu o meno così (l’intervento è di 20 pagine):
La Cooperativa La Strada è nata per la promozione dell’autonomia e dell’integrazione socio-lavorativa di persone senza dimora e in condizioni di disagio sociale. I primi destinatari dell’azione sono gli stessi soci e lavoratori, rappresentati prevalentemente da persone che sperimentano, o hanno sperimentato, percorsi di vita di strada. In questo senso, il mutuo-aiuto rappresenta un principio cardine alla base del patto tra i soci, innervando, al tempo stesso, la vita quotidiana dell’organizzazione. Attuando un’estrema semplificazione, si può affermare che nello stesso modo in cui agli inizi del ‘900 gruppi di cittadini uniti da un comune bisogno si associavano a cooperative di consumo, di lavoro o edilizie volte a tutelarli dai meccanismi speculativi di mercato, così persone a rischio di emarginazione sociale si associano alla Cooperativa per migliorare le proprie condizioni di vita, attraverso la pratica della mutualità.
La Cooperativa è attualmente costituita da 50 lavoratori, di cui l’80% provenienti da esperienze di disagio e povertà. La base occupazionale risulta infatti composta da 18 persone tossicodipendenti, 19 in condizioni di disagio sociale, 2 disabili, 1 alcolista e 10 provenienti da percorsi di vita maggiormente tradizionali. Il 30% dei lavoratori è rappresentato da donne; l’età spazia dai 27 ai 65 anni, mentre l’età media risulta pari a 43 anni. Il Consiglio di Amministrazione è costituito da 7 lavoratori, di cui 3 donne e 4 uomini, 3 persone non disagiate e 4 provenienti da percorsi di vita di strada.
Il principale strumento adoperato per promuovere l’autonomia e l’integrazione socio-lavorativa è, ovviamente, il lavoro.
Lavorare in Cooperativa La Strada, dunque, non significa esclusivamente ottenere un’occupazione, assume invece per la persona una molteplicità di valenze che non possono essere considerate disgiuntamente. Significa,
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In primo luogo, poter contare su un reddito che permetta di superare la soglia economica della sopravvivenza, emancipandosi dai precari lavori di strada e dalla beneficenza pubblica e privata.
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In secondo luogo, consente di acquisire un ruolo, quello di lavoratore, socialmente riconosciuto, facilitando quindi, nel contempo, il sentirsi parte attiva di una collettività.
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In terzo luogo, la garanzia di continuità occupazionale permette di guardare al futuro con una maggiore tranquillità e sicurezza, superando la necessità di arrangiarsi nella precarietà giorno per giorno.
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In quarto luogo, l’impegno quotidiano richiesto consente, da un lato, di relativizzare l’importanza e l’influenza all’interno della propria vita di eventuali dipendenze e, dall’altro, stimola la riscoperta e lo sviluppo delle competenze, in un contesto che contempla la possibilità di sbagliare, favorendo l’autostima e la consapevolezza di sé.
Vai MAX!
Fatti rispettare in quel di Ostia!
Anzi dato che vai nella capitale (degli intrallazzi politici;) perchè non porti un bel pacchetto regalo ai quei simpaticoni del palazzo, da parte mia?
No, non fa BUM, fa (purtroppo) solo
PRRR!
A presto!
C(A)
evviva coop la strada
Quando vai ad Ostia ricordati che in quella mensa gestita dalla Caritas usciti dalla stazione in fondo verso il mare (già il mare) andava a mangiare e raccattare vestiti e dormiva nella stazioncina e sputava sangue in terra succhiato dalle braccia, un socio fondatore della Coop, ma rischi se gli racconti questa storia,di spaventarli !! ciaoooooo e buon viaggio Kaber
Riesci ad andare a trovare anche gli amici di Terre di mezzo?
e vai Max fatti sentire
Grazie ragazzi! Spero anche di riuscire ad incontrare il nostro carissimo gatto Romeo, il gatto più pelato del Colosseo.
eh Max ! prima di andare, dicci…ma chi cazzo è il Gatto Romeo!?!?
sembra davvero interessante il lavoro che state facendo, la cooperativa, piazza grande… mi sembra di aver scoperto un mondo dentro bologna…ma per conoscervi meglio si può venire in via del porto?
Il gatto romeo? Ma il nostro mitico Saxo16! Domani le foto in esclusiva.
Ecco chi è Romeo!
il gatto più pelato del Colosseo!
Sta bene e vi saluta tutti!
Il convegno è stato costruttivo ed interessante. Ho conosciuto molte persone e tutti avevano molto interesse per il lavoro che svolgiamo qui a Bologna, sia come coop la Strada che come rete di servizi. Per certi aspetti, a quanto pare, siamo avanti. Il convegno è stato organizzato nella biblioteca comunale Elsa Morante, collocata insieme ad un centro di accoglienza, in questa suggestiva ed enorme ex colonia vicino al mare di Ostia Lido.
ma in quella colonia c’è anche una mensa della caritas o c’era?
ahh ma è Romeo il gatto più pelato del Colosseo. Ma noooo è solo un pò stempiato
non sembra…ma è pura verità…Bologna è avanti anni luce rispetto ad altre realtà metropolitane…Milano è una di queste! Max devo farmi sentire per le cornici…questa settimana mi son persa nel labirinto della burocrazia…porc…avessi almeno trovato una porta aperta…macchè!
ciao romeo
Per chi fosse particolarmente interessato all’argomento e al culto della mia personalità…
Ecco invece la traccia reale del mio intervento al Convegno: Persone senza fissa dimora. Inclusione sociale e lavoro.
Ostia, 29 febbraio 2008
Biblioteca Elsa Morante
Organizzato dall’associazione Amici di Flavio Cocanari
Presiede Mario Conclave
Mi chiamo Massimiliano Salvatori, sono socio della cooperativa sociale La Strada di Piazza Grande, tutor di un laboratorio informatico per persone senza dimora e non sono un ex tossicodipendente o ex senza fissa dimora. Lo dico perché rappresento una categoria di minoranza all’interno della mia cooperativa: approssimativamente su 10 lavoratori, 3 sono quelli “dispari” come me e 7 quelli “pari”, che provengono cioè da percorsi di emancipazione dall’esclusione sociale. Lo stesso rapporto è rispettato anche nella composizione del Consiglio di Amministrazione. Ci tengo a specificarlo perché è un valore aggiunto importante il fatto che una cooperativa fondata da persone che provengono da percorsi che hanno a che fare con le dipendenze e l’esclusione, dall’esperienza dell’Associazione Amici di Piazza Grande, abbiano dato vita a una realtà lavorativa che fornisce opportunità di lavoro concrete, contratti di lavoro veri anche a persone che non hanno avuto questo tipo di percorso, ma che integrano il lavoro cooperativo con le competenze e la propensione di una formazione sociale. Il primo stipendio della mia vita me lo ha dato Massimo Zaccarelli, fondatore e presidente della Cooperativa: personaggio che ha lasciato un vuoto importante nella nostra organizzazione, la quale figura è impossibile riassumere qui in pochi minuti: provenendo dalla strada e dotato di un grande carisma e di un ottimo spirito di iniziativa riusciva a dialogare efficacemente sia con le persone della strada che con le istituzioni cittadine. E’ stato fra i primi ad intuire la possibilità di aprire la cooperativa a nuovi tipi di lavoratori e a nuove sfide. E’ stato un onore per me, una cosa da non dimenticare mai.
Piazza Grande è stato il primo giornale di strada, in Italia, fondato, gestito e distribuito dalle persone senza fissa dimora. Rispondendo così a diversi bisogni: guadagno, recupero della dignità personale, ricostruzione delle relazioni. Anche la letteratura sociologica ha evidenziato l’anomalia di questo genere di iniziative: proprio perché il soggetto homeless è sempre stato stigmatizzato come isolato e come mondo a se stante rispetto alla società, ma anche verso i suoi pari. Un giornale di strada che racconta la strada e la città dal basso invece ha dimostrato il contrario, cioè che è proprio con la progettualità fra pari che può iniziare un processo di ciò che oggi si chiama “empowerment”.
Anche la nascita della Cooperativa, nel 1997, ha risposto a questi bisogni, facendo un gradino in più verso la stabilità e la progettualità che un lavoro regolato e continuativo può dare: possibilità di acquisti ragionati, investimenti su di se e sui propri progetti, accesso alla casa, cura di se, fino alla rinascita delle relazioni e di un orizzonte possibile. L’esigenza di fondare una cooperativa si inserisce nello stesso solco che ha spinto tante persone, agli inizi del ‘900, a fondare ed aderire alle cooperative di consumo, di lavoro ed abitative: a metà anni ’90 sono invece le nuove necessità derivanti dalla post-modernità che hanno spinto a partecipare al progetto di Coop La Strada: come cuscinetto rispetto agli scossoni di esclusione ed impoverimento di fasce sempre più vaste e trasversali di popolazione. La partecipazione attiva alle scelte della cooperativa inoltre innescano un meccanismo di rifondazione delle relazioni, in un ambiente fortemente empatico e lavorativamente protetto. Negli obbiettivi socio-assistenziali di una cooperativa sociale come La Strada ci sono anche degli altri punti come “mission” al di là del lavoro che, per onestà, non riusciamo a svolgere sempre fino in fondo, ma rimangono centrali nella nostra modalità di lavoro: gli aspetti portati avanti con maggiori risultati sono
• La valorizzazione dell’esperienza del lavoro degli operatori “pari” nei servizi di accoglienza;
• Il lavoro in rete con i partner principali del mondo del sociale cittadino;
• I responsabili d’area gestiscono i turni lavorativi con unaq particolare attenzione alle problematiche personali dei lavoratori, fungendo così da tutor, a volte mantenendo anche i rapporti con i servizi sociali di provenienza del lavoratore o del socio;
• Il gruppo appartamento di transizione (gestito dalla Cooperativa) e i micro prestiti possono aiutare il lavoratore a impostare progetti di vita a medio-lungo termine.
Rimane pur vero che il lavoro non risolve tutti i problemi che possono aver portato la persona ad un deragliamento rispetto ai progetti di vita. Tuttavia la continuità del percorso lavorativo può aiutare proprio la persona a trovare le risorse e la serenità per riprendere un eventuale percorso di cura o emancipazione personale. E’ per questo che preferiamo pensare l’inserimento (o il reinserimento) delle persone non solo come lavorativo, ma appunto socio-lavorativo. Come viene giustamente citato nel titolo del presente convegno.
Proseguendo la discussione in un breve dibattito finale.
Ragionando sul progetto presentato in oggetto a questo convegno: Se è vero che il percorso di una persona che parte dalla strada per arrivare alla piena ripresa della propria vita va pensato come ad una strada, sicuramente il passaggio più lungo e difficile è quello verso il mondo del lavoro “normale”, profit, o comunque un contesto lavorativo non protetto. Per chi ha vissuto certi percorsi, per chi è stato ai margini (sostanze, carcere, destrutturazione personale) questo passaggio risulta nella realtà difficilissimo. La nostra esperienza ci dice (e ricerche lo confermano) che c’è una fortissima tendenza da parte dei lavoratori e dei soci della cooperativa a rimanervi, proseguendo il percorso lavorativo in una modalità di lavoro nuova e partecipativa, senza cercare sbocchi professionali diversi.
Facendo un passo indietro, cioè verso le persone che, dalla strada, stanno intraprendendo un percorso di inserimento socio-lavorativo bisogna tenere presente aspetti non tanto diversi dai precedenti: è giusto che il progetto di borse lavoro qui presentato descriva uno sviluppo di un percorso che partendo dal filtro, dall’accoglienza porti verso un impegno e un consolidamento degli obbiettivi di autoconsapevolezza e sviluppo. Tuttavia la nostra esperienza nei laboratori di bassa soglia e nei percorsi di borsa lavoro ci dice che è necessario preventivare, mettere in qualche modo a progetto anche momenti di caduta, deviazione dalla linea progettuale condivisa; così da poter considerare con la giusta cognizione dunque eventuali possibilità di tornare sui propri passi. La gestione dei fallimenti è importante quanto quella dei successi. Le persone in oggetto provengono spesso da forti fallimenti, per cui un’eccessiva enfatizzazione delle tappe di successo può generare un’eccessiva ansia e la paura di tornare a vivere l’esperienza del fallimento può far abbandonare percorsi che, col giusto tempo, potrebbero portare a qualcosa di buono. Per cui invece che pensare al percorso di inserimento come un treno che porta da A a B potrebbe essere utile immaginare una specie di giostra sulla quale si può salire e dalla quale si può scendere senza compromettere la possibilità di riprovarci. Tenendo tuttavia presente che la giostra non può girare all’infinito, ma deve fermarsi davanti all’uscita giusta, che corrisponde ad una nuova e adeguata strada da intraprendere.