In tempi in cui si parla moltissimo di aerei, aereoporti, compagnie di bandiera, buchi di bilancio, cordate, presunti esuberi e presunti privilegi del personale volante, mi capita di leggere un articolo come questo: La storia dei clochard milanesi che popolano l’aereoporto di Linate. Un inchiesta ben fatta dal sito TG-Com (già!), con relativo video. Buon atterraggio.
Iniziano ad arrivare all’aeroporto intorno alle 22, scendono dall’autobus che li ha portati fino a Linate e con la loro borsetta in spalla e la valigetta in mano entrano dentro lo scalo milanese e cominciano a girare per i corridoi. Danno un’occhiata all’orario delle partenze e poi si dirigono verso la zona del check-in. Qui si siedono su una panchina aspettando un aereo che non arriverà mai. Perché, quando l’aeroporto chiude, loro sono ancora lì e quando riapre, prima che arrivi la gente, si alzano e vanno via. E’ un rito che si ripete ogni giorno, ormai da più di un anno: loro sono i passeggeri che non volano mai, le loro valigie non saranno mai imbarcate, sono gli invisibili dell’aeroporto di Linate (GUARDA IL VIDEO).
Sono in tutto una decina, più uomini che donne, le persone che con un finto borsone tutte le notti scelgono come letto i seggiolini blu dello scalo di Milano. Sono soprattutto italiani e arrivano tra le 22 e mezzanotte con il 73, la linea che da piazza San Babila porta a Linate. Appena scesi dall’autobus prendono il carrello e iniziano a vagare per le corsie dell’aeroporto. Alcuni si accomodano con il loro finto trolley nelle sale d’attesa, altri leggono il giornale seduti nelle poltroncine vicino i monitor degli arrivi, e altri ancora decidono di salire al secondo piano. Qui, dopo un breve giro, vanno dritti al bagno, tirano fuori dalla loro borsetta un beauty, (con dentro spazzolino, dentifricio e un cambio) si tolgono la camicia e iniziano a sciacquarsi. Prima le mani, poi il viso e il petto e infine i denti. All’inizio non li riconosci subito, riescono a mimetizzarsi bene e confondersi tra i normali viaggiatori. Non portano abiti stracciati e soprattutto non chiedono l’elemosina. Però appena ti avvicini capisci che non sono dei normali passeggeri. Le loro scarpe sono consumate dall’asfalto, i loro vestiti sono sbiaditi e in viso portano la tristezza di chi vive per strada.
Si possono vedere ogni notte, sono sempre lì, sono sempre gli stessi, con addosso i vestiti di sempre. Magari cambiano letto, o meglio poltrona, c’è chi dorme vicino alle partenze, chi al secondo piano e chi vicino al check-in. “Non danno fastidio a nessuno”, ci dice una ragazza che lavora a Linate. “Stanno qui fino all’alba – spiega un inserviente – poi appena il 73 riprende la corsa la mattina presto lasciano l’aeroporto e vanno in centro”. Abbiamo cercato di avvicinarne qualcuno, di conoscere la loro storia, ma hanno preferito non rispondere. Luciano è uno di questi: milanese di mezza età, camicia bianca e sulle spalle un golfino blu, legge un giornale trovato per terra accomodato su una poltrona al secondo piano dello scalo. Cerchiamo di scambiare due chiacchiere, ma lui non ha molta voglia di parlare, “ho mal di denti”, dice. Qualche seggiolino più avanti c’è Maria, è sdraiata su una poltroncina e ha una brutta tosse. “Sto aspettando l’aereo per andare a Roma”, ma tre giorni dopo la ritroviamo nello stesso posto, con la stessa tosse. Nello scalo milanese la notte passa tranquilla, con gli addetti alle pulizie e gli altri viaggiatori che aspettano la partenza la mattina presto del loro volo. Mentre i clochard del Motel Linate, dopo aver passato la nottata sdraiati per terra con una borsetta per cuscino e una coperta che li ripara dal freddo e dalla fastidiosa luce al neon, vanno via senza lasciare traccia.
Ma Linate non è l’unico aeroporto dove si possono trovare i senzatetto. Esempi di questo tipo si possono trovare al Kennedy di New York, a Londra e anche a Roma. Qui i clochard sono poco meno di 10. “Girano per l’aeroporto tutto il giorno – ci racconta una commessa – c’è chi si riesce a mescolare con gli altri viaggiatori e chi invece si riconosce subito”. Il signor Guida è un dipendente di un bar: “Li vediamo passare ogni giorno, arrivano dalla stazione, vagano per lo scalo con la loro borsetta e con il carrello pieno di buste. Alcuni li individui, quando prendono da terra mozziconi di sigarette o quando ti chiedono di offrirgli un caffè. Lo fanno con discrezione e non chiedono mai l’elemosina. Sono tranquilli e non disturbano”. Gli homeless di Fiumicino si dividono in due gruppi: chi sta agli arrivi nazionali e chi gironzola al terminal C, ossia in quelli internazionali. “Una sera – racconta un addetto dello scalo romano – ho visto passeggiare un tizio con la maglia del Chelsea. L’ho rivisto il giorno dopo e ho pensato che avesse perso l’aereo. Poi però dopo una settimana era ancora lì e ho capito che non si trattava di un passeggero normale”.
M.Nuzzolo – P. Filippone – V. Pentangelo
ripararsi in posti dove si può e istinto e amore per la propia esistenza,come è istinto e amore chiudere un occhio e farli stare li’ CARLO MONTRESORI IN PICCOLO PARAMETRO SOLIDARIETàn.i. j
a volte ci sono ricordi che fanno male anche a distanza di tempo.Questo post è inguardabile per me, fa male ancora oggi a distanza di tempo.Quelle pareti di marmo fredde e lucide, quelle ore
le 3-4 di notte dove quasi tutte
le stazioni un pò si fermano e tu crolli di stanchezza ,ogni angolo, ogni poltroncina,ogni pavimento è buono per il sonno, ma dura poco troppo poco,e la sofferenza e l’incubo in poche ore, minuti si materializzano,solo pochi istanti
di sonno e le voci dello speaker oramai non le senti più e
cominci a fare i conti con la tua realtà.Se qualsiasi persona di passaggio prova a chiudere gli occhi
mettendosi lì in piedi come in questa foto e prova a immaginare cosa si prova, non ci riesce.Il tempo nel dolore di una tragica fine di un pezzo della tua vita è infinito e indelebile per sempre nella memoria.