Bologna, città a misura di homeless

Pubblicato: 24 giugno 2009 da massitutor in assistenti sociali, assistenze e bisogni, civiltà, inchieste, vagabond geoghaphic

Riportiamo un articolo dal periodico online Vita.it, nel quale si afferma che, secondo una ricerca del Ministero delle politiche sociali su cinque città italiane, Bologna sarebbe un polo attrattivo rispetto alle persone ai margini della società. A quanto pare Bologna sarebbe un’eccellenza nei servizi sociali e nell’accoglienza per i senza tetto.
Ma sarà poi vero? O meglio: cosa ne pensate? Rispetto alla vostra idea di città, all’esperienza personale o rispetto al lavoro che fate dentro o attorno ai servizi.
Se non qui, dove?

Bologna

Il Ministero delle politiche sociali presenta oggi una ricerca sui senza dimora in 5 città italiane

Addio, homeless. Addio, soprattutto, a una visione che li definisce in termini di mancanza, "less". Il rapporto degli homeless con gli spazi urbani e con l’offerta cittadina di servizi, infatti, è caratterizzato da un utilizzo competente e strategico delle limitate risorse accessibili. Gli homeless cioè oggi sono "ispettori dell’accoglienza".  Tant’è che girano mezza Italia e poi cercano tutti di approdare a Bologna, dove ci sono i migliori progetti per il reinserimento sociale.
A dirlo è una ricerca che verrà presentata oggi dal Ministero del Lavoro, della salute e delle politiche sociali: gli studi realizzati in cinque città – Bari, Bologna, Genova, Milano e Roma – hanno osservato che dagli homelss viene una domanda di beni che va ben oltre lo schema semplificato della ricerca di cibo e di rifugio notturno. Essa si concretizza, per esempio, nell’esigenza di accedere alle biblioteche e fruire dei loro servizi o in quella di disporre dei mezzi pubblici in modo regolare per organizzare i propri spostamenti nell’area urbana.
Davanti a queste richieste, che si collocano al di fuori della definizione per difetto degli homeless, gli operatori sociali e i servizi sembrano in difficoltà e agiscono spesso in modo poco flessibile. Le regole delle strutture rischiano infatti di determinare un loro utilizzo rigido che mal si concilia con l’effettivo perseguimento dell’indipendenza degli utenti, imponendo una griglia di intervento che rischia di soffocare la capacità di avvalersi in modo autonomo e creativo delle poche risorse disponibili. Il pericolo allora è quello che si produca come effetto, involontario ma non per questo meno reale, la gestione della vita dei soggetti assistiti secondo i principi di una economia di semplice sussistenza, da cui non potranno mai emanciparsi.

Bologna
Bologna rappresenta un’eccellenza nei servizi sociali e nell’accoglienza per i senza tetto, una sorta di approdo per tutti coloro che si spostano da una città all’altra in cerca di condizioni migliori. D’altra parte, però, il luogo di accoglienza, (il centro d’accoglienza Beltrame) sembra essere vissuto solo come luogo di passaggio dal quale uscire con un progetto individuale di "reinserimento". Questa impostazione crea distanza tra gli ospiti, che rifiutano i rapporti tra loro, tutti protesi all’uscita dal centro in una sorta di competizione interpersonale. La ricerca mostra come invece sarebbe opportuno rafforzare la funzione residenziale di un centro simile, promuovendo la dimensione coabitativa.

Bari
La ricerca narra dei vissuti e delle storie di 22 persone senza dimora che vivono nell’area metropolitana di Bari e mette a fuoco come l’avere o meno un riparo presso una struttura di accoglienza non risolva l’emarginazione e l’esclusione sociale di cui gli homeless sono destinatari. La ricerca, attraverso l’analisi condotta con t.lab (software per l’analisi quantitativa di dati qualitativi) mette in luce la rappresentazione polarizzata e differenziata delle forme di exit e di nuove politiche sociali suggerite dai diversi stakeholders.

Genova
La ricerca ha come oggetto le modalità di produzione dell’immagine del senza fissa dimora, con i suoi tratti stereotipi, prendendo in considerazione il ruolo giocato dalla stampa locale con l’analisi di articoli usciti tra la fine del 2007 e il 2008 e del materiale promozionale di uno degli enti genovesi, mostrando i meccanismi di discorso attraverso i quali gli homeless sono ridotti a non-persone.

Milano
La ricerca si è concentrata sui modi attraverso cui le persone senza dimora possono difendere il proprio sé, gestendo la frattura tra auto ed etero attribuzione identitaria che colpisce le persone segnate dallo stigma e da processi di inferiorizzazione. Il secondo aspetto chiama in causa la diversa declinazione dei bisogni e delle priorità da parte del sistema di intervento locale e da parte delle persone senza dimora.

Roma
La ricerca intende indagare i rapporti delle persone senza dimora con la città, nella prospettiva di suggerire ipotesi operative di intervento per una riconfigurazione dei servizi che li renda più aderenti alle istanze, alla soggettività e al desiderio di emancipazione degli "homeless". L’indagine ha smentito, attraverso l’analisi sia delle storie di vita sia delle interviste a stakeholders e rappresentanti dei servizi, lo stereotipo di una marginalità vissuta come scelta o rottura rispetto a un contesto di vita "normale" e posto in rilievo la dolorosa condizione di invisibilità sociale dei senza dimora.

commenti
  1. anonimo ha detto:

    non è proprio positivo tutto questo, anche perchè una rete di servizi come quelli di bologna che per anni ha funzionato bene, con questo sovraffollamento di richieste e bisogni sta andando al collasso…mancano soldi, luoghi e persone, proprio per questo bologna da realtà dei servizi che funzionava, ora barcolla tra l’impossibilità di soddisfaree tutte le richieste e la dispersione dei servizi che prima funzionavano…è un bel casino!!

  2. anonimo ha detto:

    è vero in quanto si dica che Bologna abbia i migliori servizi sempre all’altezza della situazione io presempio non li conoscevo è ho scoperto che funzionano anche nella maniera giusta,più bello di così. MONTRESORI CARLO

  3. analkoliker ha detto:

    Io ho atteso quattro mesi emmezzo per un appuntamento con l’assistente sociale, e quando mi sono presentato aveva appena dato le dimissioni. ASPetti.
    Hahahahahaha ch e buffoni

  4. anonimo ha detto:

    Bé non tutte le ciambelle riescono col buco a volte è questione di persone,operatori si nasce assistiti si diventa e assistenti sociali si esplode,fortunatamente c’è molta possibilità di ricambio. MONTRESORI CARLO

  5. simpit ha detto:

    se la nostra è l’eccellenza non riesco nemmeno ad immaginare allora come vivono nella mediocrità.Una volta si diceva che Bologna è così’ per la sua posizione e il nodo ferroviario

  6. Concin ha detto:

    Le distanze servono per distinguerci.
    Coabitare è mettersi in gioco: troppa fatica.
    Eliminare la povertà è assolutamente possibile, ma serve, serve, serve, come la religione, come la droga. Alla Bologna la grassa (come ad altre città) gli homeless servono a sentirsi più tranquillamente al sicuro. Non possiamo far sparire facendo diventare bravi cittadini, tutti quelli che per un motivo o un altro vanno in difficoltà. E non come si pensa che servono agli operatori o assistenti o psicologi, perchè così si pagano il loro stipendio: chi lavora direttamente a contatto (filtrato o meno) con il dolore con la sofferenza con la rabbia, con la frustrazione in una qualche misura sempre partecipa, sempre per una qualche misura nel suo lettino a casa un pò di quel dolore si insinua tra le lenzuola fresche di bucato.
    Allora i migliori servizi servono, ma non agli homeless che tanto per quanta più morbida carta igenica abbiano nel loro dormitorio, sempre si trascineranno per luoghi assistiti senza possibilità di essere soggetti attivi della loro vita, ma oggetti significativi della nostra serenità. Servono e asservono a valori e culture e pappardelle di borghesi coscienze: ecco forse bisognerebbe partire dalla cultura e dalle infrastrutture mentali con cui quel popolo di quella città si tiene in piedi, per capire che tipo di servizi ci sono in quella città.

    saluto tutti
    concetta

  7. anonimo ha detto:

    vidi un col capo sì di merda lordo / che non parea s’era laico o cherco…
    La naturale sensazione di disgusto per gli escrementi (coprofobia) è alla base della valenza negativa che molte culture vi associano. Nell’italiano moderno, questa valenza negativa si riscontra pienamente nella parola merda, ed è mitigata nei suoi molti sinonimi. Il termine merda è considerato generalmente una parolaccia, e il suo uso al di fuori del linguaggio colloquiale è oggi deprecato come offensivo, oppure come espressione volgare per manifestare le proprie idee riguardo le diverse situazioni che possono essere di disagio o negative.
    A differenza che in altre lingue europee (inglese shit, francese merde, tedesco Scheiße, spagnolo mierda), l’uso della parola merda come esclamazione per esprimere irritazione non è molto diffuso in italiano, essendo generalmente sostituita da cazzo in questa funzione: «Merda, non trovo più le chiavi!». Un caso particolare è la locuzione di merda (o merda di), usata come qualificativo in senso di pessimo: «una situazione di merda», una situazione spiacevolissima; «un uomo/pezzo di merda», un uomo esecrabile, un farabutto; ricorre frequentemente nelle esclamazioni del linguaggio triviale: «Che merda di film!». L’espressione «essere/stare/trovarsi nella merda» significa essere nei guai. Tra le frasi polirematiche, possiamo citare «avere la merda fino al collo» e «essere una merda». Si può usare anche l’espressione «Che merda!!» per indicare una situazione sfortunata.

  8. massitutor ha detto:

    Grazie Conci,
    qui c’è un po’ la chiave e il senso sottostante a tutto. Cioè, a chi servono i servizi sociali? Non servono solo a chi ne usufruisce direttamente, ma tutta la città, in senso comunitario: la comunità che vive sul territorio. Nello stesso modo in cui una scuola elementare non serve solo ai bambini che la frequentano, ma a tutti, al futuro, alla comunità appunto.

  9. monne78 ha detto:

    a sto giro carne al fuoco ne abbiamo davvero tanta…intanto,x dire “questo è meglio di quello” bisogna poter confrontare:la ricerca viene dal Ministero, ma naturalmente tiene conto solo dell’aspetto “istituzionale”; chi meglio di noi, che la viviamo sulla nostra pelle, può conoscere la realtà dei servizi nelle varie città? Chi ha viaggiato può confrontare i vari ambienti, anche se ovviamente l’esperienza personale influisce parecchio….
    Questo è il dibattito a cui mi piacerebbe assistere (e partecipare..)

  10. monne78 ha detto:

    anonimo che così dottamente discquisisci sull’argomento merda:torna a scriverci, e magari firmati!
    Una curiosità sul tuo commento:cosa ti ha spinto a scrivere di questo in particolare, e perchè proprio in questo post

  11. massitutor ha detto:

    Già Analkoliker, è proprio così: la tecnica dell’attesa è la prima cosa da imparare in strada. Bisogna attrezzarsi per questo.

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